Luther - SerieTv (2010) - Recensione a cura di Umberto Visani
Genere: Poliziesco, drammatico, thriller
Paese di produzione: Regno Unito
Distribuzione in Italia: Fox Crime (stagioni 1-3), Netflix (stagioni 4-5)
Episodi e durata: 20 episodi, durata tra 50 e 62 minuti ciascuno
Casa di Produzione: BBC Studios Drama Productions
Produttori: Neil Cross, Katie Swinden, Claire Bennett, Derek Ritchie
Ideatore: Neil Cross
Cast principale: Idris Elba (John Luther), Ruth Wilson (Alice Morgan), Warren Brown (Justin Ripley), Dermot Crowley (Martin Schenk), Michael Smiley (Benny Silver), Nikki Amuka-Bird (Erin Gray), Sienna Guillory (Mary Day), David O'Hara (George Stark), Indira Varma (Zoe Luther), Steven Mackintosh (Ian Reed)
Trama:
John Luther (Idris Elba) è un ispettore della polizia londinese di una sezione investigativa che si occupa dei crimini più efferati. Intuitivo, brillante, Luther non esita a superare i limiti pur di ottenere ciò che ritiene essere “la verità”. Il suo mondo è popolato da omicidi seriali, psicopatici carismatici, casi che scavano nei recessi più oscuri dell’animo umano. La svolta arriva con Alice Morgan (Ruth Wilson), una giovane donna di intelligenza sublime, che Luther sospetta abbia ucciso i genitori e che si rivela un personaggio tanto pericoloso quanto affascinante. Tra i due nasce una relazione di reciproca attrazione, apparentemente incomprensibile e potentissima, in cui l’identificazione reciproca supera ogni logica.
Luther è una delle poche serie contemporanee capaci di eludere del tutto le semplificazioni morali che affliggono la maggior parte della produzione anglo-americana. Non c’è l’eroe puro, né il criminale irrimediabile. C’è, piuttosto, una dimensione magmatica e instabile, dove l’identità si sgretola sotto il peso delle scelte.
Il personaggio di John Luther è scolpito nell’ambiguità. Un uomo che prova a essere giusto, capace di amare, ma anche di (auto)distruggere. Il dolore che lo abita non è mai spettacolarizzato, ma trasuda da ogni gesto, da ogni silenzio. Idris Elba gli presta corpo e anima, con un’intensità che ha pochi precedenti nel crime contemporaneo.
E poi c’è Alice. Ruth Wilson la interpreta con glaciale, malata lucidità. Non è l’antagonista, non è l’alleata: è l’altra metà dell’abisso. Il loro rapporto è il cuore filosofico della serie: due intelligenze che si riconoscono nel caos, che si sfidano e si attraggono perché ognuno è la prova vivente dell’altro.
Amo gli stimoli intellettuali cui questa serie sottopone volutamente lo spettatore, cercando di mostrargli la natura estremamente complessa e sfaccettata della realtà, che non è popolata da "buoni" e "cattivi", in perenne contrapposizione, ma da soggetti che cercano di destreggiarsi negli orrori della società contemporanea trovando soluzioni che li soddisfino, che consentano loro di sopravvivere, che non spieghino, ma accendano i loro animi e le loro intelligenze. Non c'è il Bene, non c'è il Male: c'è il tormento, con un barlume di salvezza dato dall’ammirazione di sé, della propria intelligenza non propriamente banale e neppure disposta a scendere a patti con la banalità del quotidiano.
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