Edge of Tomorrow - Senza domani (2014) - Retrospettiva a cura di Umberto Visani

  

edge of tomorrow

Genere: Azione, Fantascienza
Paese di produzione: Stati Uniti d'America, Australia
Durata: 113 minuti
Regia: Doug Liman
Sceneggiatura: Christopher McQuarrie, Jez Butterworth, John-Henry Butterworth
Casa di produzione: Warner Bros. Pictures, Village Roadshow Pictures
RatPac-Dune Entertainment, Viz Media, 3 Arts Entertainment
Produttori: Jason Hoffs, Gregory Jacobs, Tom Lassally, Jeffrey Silver, Erwin Stoff
Cast: Tom Cruise (Maggiore William Cage), Emily Blunt (Rita Vrataski)
Bill Paxton (Sergente Maggiore Farell), Noah Taylor (Dott. Carter)
Brendan Gleeson (Generale Brigham), Jonas Armstrong (Skinner)
Kick Gurry (Griff), Franz Drameh (Ford), Dragomir Mrsic (Kuntz)
Tony Way (Kimmel), Charlotte Riley (Nance)


Trama:

In un futuro prossimo, la Terra è invasa da una razza aliena chiamata Mimic. William Cage (Tom Cruise), addetto stampa dell’esercito, si ritrova costretto a combattere in prima linea. Ucciso pochi minuti dopo l’inizio della battaglia, si risveglia misteriosamente il giorno prima dell’evento. Intrappolato in un loop temporale, Cage è costretto a rivivere la stessa sequenza più e più volte, imparando a ogni morte come sopravvivere e combattere meglio. Al suo fianco entra in scena Rita Vrataski (Emily Blunt), leggendaria eroina della resistenza, che ha vissuto la stessa anomalia temporale e ne conosce i meccanismi tanto quanto le implicazioni, diventando la guida – e la coscienza – del protagonista.


Cosa ne penso (pochi spoiler):
 
Dopo aver visto di recente Until Dawn, ho voluto riprendere The Edge of Tomorrow, dal momento che entrambi condividono una struttura narrativa fondata sul loop temporale e su meccaniche da videogioco di tipo trial and error, dove il fallimento diventa la chiave per progredire. Ma mentre Until Dawn ne fa un gioco narrativo in senso quasi ludico, The Edge of Tomorrow si spinge oltre, trasformando il loop in una riflessione esistenziale sulla conoscenza e sulla natura stessa della realtà. A distanza di anni dalla sua uscita, il film non solo mantiene intatta la sua forza d’urto, ma acquista nuova profondità apparendo come un’opera più stratificata e filosofica di quanto l’etichetta “action movie” lasci immaginare.
Ciò che rende memorabile il film di Doug Liman non è soltanto l’efficacia con cui orchestra la ripetizione degli eventi ma la sua natura profondamente dickiana, quasi gnostica, nel modo in cui sonda la consistenza del reale. Come nei romanzi di Philip K. Dick, la realtà non è mai un dato oggettivo ma una costruzione instabile, soggetta a riscritture, manipolazioni, falsificazioni. Il tempo stesso si fa materia fallace e il mondo in cui si muove il protagonista non è altro che una proiezione soggetta a bug, ripetizioni e glitch — come se il reale fosse stato codificato in un linguaggio programmabile e corrotto.
All’interno di questa cornice, il loop temporale non è semplicemente un meccanismo narrativo, ma si configura come un rito di passaggio, un percorso iniziatico in cui la verità non arriva per illuminazione mistica, ma attraverso il dolore della ripetizione, la fatica dell’apprendimento, la morte reiterata come gradino di consapevolezza. Ogni “reset” non è solo un ritorno, ma una progressiva erosione dell’illusione, una scalata verso un possibile risveglio.
Tom Cruise, qui in una delle sue interpretazioni più riuscite, riesce a decostruire la propria iconografia da eroe infallibile: il suo William Cage è inizialmente pavido, arrogante, persino codardo — e solo l’ineluttabilità del ciclo, l’impossibilità di sfuggire alla propria condizione, lo trasforma lentamente in qualcosa di simile a un eroe. Ma è Emily Blunt, con la sua magistrale e magnetica Rita Vrataski, a dominare la scena: una guerriera che è anche una figura archetipo, una Sophia postmoderna, portatrice di una conoscenza antica e dolorosa, la cui autorità nasce dall’esperienza della perdita. In lei convivono la forza militare e la saggezza spirituale.
Il finale, forse più conciliante di quanto il film sembrasse promettere, chiude il cerchio con una risoluzione che privilegia la soddisfazione dello spettatore rispetto alla coerenza tragica dell’impianto. Ma anche in questo, The Edge of Tomorrow non tradisce se stesso, rimanendo un film in grado di unire spettacolarità e pensiero, intrattenimento e riflessione ontologica, offrendo una parabola inaspettatamente profonda sul libero arbitrio e sul destino.

Il film piacerà a:
Chi cerca un action sci-fi intelligente, capace di rileggere il pensiero di Philip K. Dick e le inquietudini gnostiche sulla natura del reale.
 
Il film non piacerà a:
Chi predilige strutture narrative lineari, non sci-fi, e non ama la struttura a loop. Chi preferisce la fantascienza fredda, tecnologica, la mera space-opera, anziché quella esistenziale e metafisica.
 
Pregi:
Una struttura narrativa brillante che trasforma il loop in strumento di conoscenza; Emily Blunt, di rara potenza espressiva; il sottotesto filosofico ben innestato nel ritmo serrato del film.
 
Difetti:

Un finale eccessivamente accomodante.
 
Lo consiglio? 
 




 
 (Retrospettiva a cura di Umberto Visani)



 
 



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