A Quiet Place - Un posto tranquillo (2018) - Retrospettiva a cura di Umberto Visani

  

a quiet place

Genere: horror, thriller, fantascienza  
Paese di produzione: Stati Uniti  
Durata: 90 minuti  
Regia: John Krasinski  
Produttori: Michael Bay, Andrew Form, Brad Fuller  
Casa di produzione: Platinum Dunes, Sunday Night Productions  
Sceneggiatura: Bryan Woods, Scott Beck, John Krasinski  
Cast: Emily Blunt (Evelyn Abbott), John Krasinski (Lee Abbott)
Millicent Simmonds (Regan Abbott), Noah Jupe (Marcus Abbott)  

Trama:

In un mondo post-apocalittico invaso da creature aliene cieche ma sensibilissime ai suoni, la famiglia Abbott cerca di sopravvivere vivendo nel silenzio più assoluto. Ogni rumore può portare alla morte. Le comunicazioni avvengono solo con il linguaggio dei segni. Ma la madre è incinta, e il travaglio imminente rende impossibile mantenere l’equilibrio. Quando le contrazioni iniziano, il silenzio non basta più.




Cosa ne penso (pochi spoiler):
 
Avevo visto A Quiet Place al momento dell’uscita in sala, incuriosito dal fermento che lo circondava, ma anche con una certa diffidenza, consapevole di come il cinema dell’orrore contemporaneo, soprattutto quello statunitense, spesso si affidi a logiche da parco giochi: urla, colpi di scena, mostri fuori fuoco. Eppure, già allora, mi aveva colpito per la sua coerenza narrativa, per la purezza del suo impianto concettuale, per quella capacità rara di aderire a una singola idea e svilupparla fino in fondo senza compromessi, non cercando la paura immediata, ma la tensione sotterranea. Non è un film sul “mostro”, ma sulla gestione dell’assenza: l’assenza di suono, di dialoghi, di sicurezza, di controllo. Il silenzio qui diventa grammatica emotiva, costruzione psicologica, spazio di resistenza.
La minaccia si insinua nelle piccole cose — un passo, un sussurro, un oggetto fuori posto. Mi ha fatto pensare alle atmosfere straniate e austere delle migliori narrazioni post-apocalittiche, non tanto per la spettacolarità della fine del mondo, quanto per la dignità quasi liturgica con cui si affronta il quotidiano. In questo senso, A Quiet Place è anche una parabola sull’ordine familiare in tempi di crisi totale, sul modo in cui l’amore e la paura si intrecciano nella gestione dell’intimità domestica. Ho ritrovato echi di The Road di Cormac McCarthy, ma anche evidenti prefigurazioni di quanto sarebbe poi diventato The Last of Us, in cui la famiglia si trasforma in ultimo baluardo pre-collasso. Il confronto è inevitabile: la cura del dettaglio quotidiano, il trauma che si sedimenta nei gesti, la sopravvivenza come forma di dedizione. 
Il film non indulge in spiegazioni o mitologie. La minaccia esiste, e tanto basta. Non importa — almeno qui — come siano arrivati i mostri, né da dove. Quel tipo di informazione verrà fornito solo nel sequel, A Quiet Place – Part II, che spiegherà l’origine dell’invasione. Ma in questo primo capitolo non è rilevante: ciò che conta è come ci si convive. In questo modo, il racconto si spoglia di accessori e va dritto al cuore: il pericolo non è là fuori, ma ovunque, soprattutto dentro l’invisibile struttura di abitudini che regolano la vita familiare. Il respiro trattenuto del padre, la carezza silenziosa della madre, il gioco soppresso dei bambini: ogni gesto è carico di senso perché può costare tutto. L’orrore non si manifesta nella violenza, ma nella sua imminenza.
E poi c’è Emily Blunt. In una carriera fatta di ruoli spesso versatili ma contenuti, qui si misura con qualcosa di diverso: una maternità difficile, trattenuta, in un mondo iper-ostile. Il suo volto dice molto più di quanto le parole potrebbero, e nelle scene cardine, come quella del parto, riesce a condensare dolore, determinazione e lucidità in una presenza quasi ieratica. Il suo personaggio non è semplicemente la “madre forte”, ma una figura archetipica della sopravvivenza femminile. Non consola, non protegge: crea condizioni per esistere, per per-durare, in uno dei ritratti più intensi della maternità che il cinema recente abbia saputo offrire.

Il film piacerà a:
Chi cerca un horror “adulto”, privo di effetti gratuiti e costruito su un’idea forte e coerente. Chi apprezza i film capaci di creare tensione attraverso la sottrazione e l’atmosfera. Chi ama le narrazioni apocalittiche intime, non spettacolari.
 
Il film non piacerà a:
Chi si aspetta un horror convenzionale, con mostri in bella vista e ritmi forsennati. Chi non tollera un approccio minimalista e centrato sull’esperienza emotiva più che sull’intrattenimento.
 
Pregi:
Una delle migliori idee del cinema horror degli ultimi anni. La performance di Emily Blunt. Il modo in cui la tensione è costruita sul silenzio e sulla sottrazione. Il coraggio di non spiegare.
 
Difetti:

Può risultare “spoglio” per chi cerca una trama esplicita o ricca di spiegazioni. Il concept, seppur solido, mal si presta ai sequel (che sono stati fatti, risultando meno convincenti).
 
Lo consiglio? 
 




 
 (Retrospettiva a cura di Umberto Visani)



 
 


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