David Lynch, IN MEMORIAM - Articolo a cura di Umberto Visani
David Lynch, IN MEMORIAM
Il mio primo contatto con David Lynch è avvenuto a 7 anni con la visione di Twin Peaks, serie di culto che da subito mi piacque moltissimo e che già in tenera età mi portò a guardare il mondo da una prospettiva più stratificata: <<Ho imparato che sotto la superficie c'è un altro mondo, e altri mondi diversi se si scava più a fondo. Lo sapevo da bambino, ma non riuscivo a trovare le prove>>. Lynch evidenzia questa sua affermazione in Twin Peaks in maniera esponenziale: “tranquillo” paesino di provincia americano, sospeso in una sorta di non tempo che è sia fine anni Ottanta sia un qualcosa collocabile negli anni Cinquanta, periodo adorato dal regista, le cui sonorità emergono in tutta la sua produzione. Ecco, in questo mondo a prima vista perfetto, la quiete viene sconvolta dal brutale omicidio della ragazza più in vista del posto, Laura Palmer. Se in molte altre produzioni ciò porterebbe alla semplice, banale e lapalissiana constatazione che gli abitanti in apparenza “buoni” e quieti non siano affatto tali, Lynch spalanca un ulteriore mondo: coloro che “abitano” il reale non sono solo le “persone” cui siamo normalmente abituati, c’è molto di più, ci sono altri piani, altri soggetti, altre entità in lotta tra loro, con la capacità di impossessarsi dell’uomo e spingerlo a compiere nefandezze ancor peggiori.
Ben prima di X-Files, Twin Peaks portava queste tematiche al grande pubblico: loggia nera, loggia bianca, Progetto Libro Azzurro, realtà parallele… il tutto in un contesto da paesino statunitense sotto la cui normale apparenza ribollono altri mondi che a tratti possono entrare in contatto con il nostro e nei quali possiamo pure perderci.
Oltre a Twin Peaks ci sono due film che voglio ricordare e che hanno contribuito a costruire il mio immaginario andando a influire fortemente anche sul mio modo di scrivere romanzi: Strade Perdute e Mulholland Drive. Di Mulholland Drive ho raccontato qualche settimana fa su queste pagine. Strade Perdute, di alcuni anni precedente, si muove sullo stesso territorio: una trama in parte e in apparenza “noir”, dove l’aspetto onirico inizia a squarciare il velo del reale insinuandosi e andando a creare una simbiosi dove non è più possibile scindere i due reami, il tutto con la costante emersione di soggetti “altri” fortemente inquietanti che chiaramente non fanno parte del mondo cui solitamente si è abituati ma che vi giungono facendo crollare ogni residua certezza, tra crisi di identità e di personalità che portano sempre altrove.
Lynch, dall’alto di una visione così elevata, è stato a ben donde un maestro dell'autocelebrazione e del proprio linguaggio cinematografico, come pure di quello musicale (che cura personalmente), ha fatto quasi una "koiné", dunque un linguaggio in cui espressione, narrazione e autocitazione si fondono di continuo, per dare luogo a una manifestazione filmica unica e inconfondibile, che dà il segno di sé nel momento stesso in cui si estrinseca.
Ho sempre amato questo suo modo di comunicare, che della totale circolarità dell'autoreferenzialità umana (costante e continua) fa non solo la propria cifra cinematografica e comunicativa, ma la irride, fingendo di autocitarsi. È una pratica assai raffinata, dove il surreale diventa paradossale perché il paradossale è già di per sé surreale.
Peccato che le majors hollywoodiane, sempre troppo interessate ad aspetti meramente economici, non abbiano voluto finanziare i suoi numerosi progetti rimasti così irrealizzati.
Vogliamo concludere con le sue parole: <<Mi piace fare film perché mi piace andare in un ‘altro mondo’. Mi piace perdermi in un altro mondo. E il cinema per me è un mezzo magico che ti fa sognare... ti permette di sognare al buio>>.
Memori dell’amore di Lynch per la componente musicale dei film e financo dell’esistenza, chiudiamo con alcuni versi di una canzone di Roy Orbison, celebre per una scena di culto di Velluto Blu, altro capolavoro lynchano:
<<I close my eyes then I drift away
Into the magic night, I softly say
A silent prayer like dreamers do
Then I fall asleep to dream my dreams of you
In dreams I walk with you
In dreams I talk to you
In dreams you′re mine all of the time
We're together in dreams, in dreams>>
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