L'amore bugiardo - Gone Girl (2014) - Retrospettiva a cura di Umberto Visani

 


 

Genere: thriller
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Durata: 149 min
Produzione: 20th Century Fox, TSG Entertainment, Regency Enterprises
Produttore esecutivo: Leslie Dixon, Bruna Papandrea
Regia: David Fincher
Sceneggiatura: Gillian Flynn
Cast: Ben Affleck - Rosamund Pike - Neil Patrick Harris

Trama:

Il giorno del suo quinto anniversario di matrimonio, Nick torna a casa e scopre che sua moglie Amy è scomparsa. La sua scomparsa riceve un'ampia copertura da parte della stampa. Si sospetta che Nick l'abbia uccisa e il suo comportamento goffo viene interpretato dai media come una caratteristica di un potenziale sociopatico. La detective Rhonda Boney scopre prove di problemi finanziari e litigi domestici: che fine ha fatto Amy?




Cosa ne penso (piccoli spoiler):
 
    Tratto dal romanzo di Gillian Flynn, L'Amore Bugiardo è un'opera complessa, che procede per fasi. All'inizio appare come la solita storia di una crisi matrimoniale, abbastanza scontata in quanto i due protagonisti appartengono a ceti sociali molto diversi e hanno reali motivi di incomprensione, ma poi essa si addentra progressivamente nel thriller, salvo uscirne quasi di colpo per una motivazione che apparentemente è folle, ma in realtà – a ben guardare – credibilissima.

In un complesso gioco di specchi, il cui dipanarsi è grandemente facilitato dalla splendida prestazione attoriale dei due protagonisti – Ben Affleck e Rosamund Pike – la pellicola si snoda di fatto su tre livelli: quello individuale, quello di coppia e quello sociale. Il primo è l'unico che pare avere una sua autonomia e credibilità, ma è grandemente condizionato dagli altri due, poiché il rapporto di coppia è in crisi da tempo, dal momento che altre donne e altri uomini sono presenti nelle vite di Amy e Nick (questi i nomi dei due protagonisti), e soprattutto la dimensione sociale condiziona pesantemente il loro quotidiano.

È proprio la constatazione di non poter avere una sua reale individualità, ma solo quella che le è stata costruita addosso dalla famiglia e dalla società, a indurre Amy, fuggitiva nel giorno del quinto anniversario di matrimonio per motivazioni molto personali, a cogliere la prima occasione che le si offre per fare marcia indietro sulla strada che aveva imboccato (intesa a giocare un terribile scherzo al marito) e a riportarla – con un favoloso coup de théatre – verso un esito apparentemente opposto alle premesse.

Qui emerge la vera natura del film, disamina impietosa e dissacrante di tutte le ipocrisie, le censure e le repressioni di una società solo apparentemente libera come quella americana, dove la “libertà”, in realtà, non significa altro che conformarsi ad un canone, accettare con piena consapevolezza le sbarre di una prigione, giorno dopo giorno sempre meno dorata.

Tuttavia, se si accetta il canone, se ci si muove con maestria all'interno di un universo di regole che sono già scritte e che occorre accettare (o respingere) in blocco, si possono rinvenire e fare proprie modalità di sopravvivenza, che possono anche garantire il benessere economico, ma che richiedono di sacrificare del tutto la propria individualità.

Il valore straordinariamente pedagogico de L'Amore Bugiardo è che esso ci fa capire – con la sua serrata critica dell'American Way of Life – che ci troviamo in presenza di una delle società più totalitarie del mondo, all'interno della quale o si accetta e si fa proprio l’universo dei valori condivisi, o non si è. Ed è proprio per esistere che i due protagonisti – supremo paradosso – scelgono deliberatamente di non essere, in quanto solo accettando questa soluzione di consapevole asservimento sono garantite loro legittimazione e approvazione sociale.

La “coppia ideale” che ne scaturisce è fasulla quanto l’America, è libera come si potrebbe essere liberi all’interno di un campo di concentramento, ma è pure consapevole che la sua sopravvivenza economica e sociale è connessa all’accettazione acritica di quei paradigmi, senza i quali essa non è o tende a dissolversi sotto il peso delle terribili tensioni cui è sottoposta.

Il film di David Fincher è molto intrigante e, soprattutto, straordinariamente convincente, grazie anche a una magistrale sceneggiatura che non fa sentire in alcun momento i ben 145 minuti di durata complessiva, tenendoci attaccati alla poltrona fino alle inquadrature finali, in attesa di un colpo di scena che ovviamente non si verifica, ma che ci fa capire in che misura il "sogno americano" sia in realtà un terribile incubo; un incubo dal quale, per sopravvivere, è meglio non svegliarsi, se non per fuggire. Ma certo non per ritornare...
 
Il film piacerà a:
Gli amanti di opere “gialle” non scontate in cui la trama è meramente funzionale a critiche verso una certa tipologia di società.
 
Il film non piacerà a:
Chi cerca necessariamente una esasperata credibilità nelle vicende.
 
Pregi:
Sceneggiatura di livello assoluto, regia di Fincher in cui si nota la sua solita maestria dai tempi di “Seven”.
 
Difetti:

Non ne ho trovati.
 
Lo consiglio? 
 


 
 
 
 (Retrospettiva a cura di Umberto Visani)



 
 




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