LA VALLE DEI SORRISI (2025)
Recensione a cura di: Umberto Visani
Titolo originale: La valle dei sorrisi
Genere: Folk horror, thriller psicologico
Paese di produzione: Italia, Slovenia
Durata: 122 minuti
Regia: Paolo Strippoli
Produttori: (non specificati)
Casa di produzione: Vision Distribution
Cast: Michele Riondino (padre), Romana Maggiora Vergano (figlia), Giulio Feltri (giovane del villaggio)
Trama:
Sergio Rossetti (Michele Riondino), insegnante segnato da un lutto personale, si trasferisce in un paesino alpino apparentemente idilliaco. Al centro della vita collettiva c’è un rituale che coinvolge un ragazzo del paese, un rito antico che pare dare senso all’esistenza della comunità. Con il passare del tempo Sergio intuisce che quell’armonia è fragile, retta da segreti che nessuno vuole nominare. Più osserva, più si convince che quel villaggio non è solo un rifugio, ma una prigione, dove ogni tentativo di fare domande viene accolto con silenzi e sguardi torvi.
Cosa ne penso (pochi spoiler):
Sono andato a vedere La Valle dei Sorrisi attirato dal paesaggio alpino e dalla curiosità di scoprire quale potesse essere il mistero cui vagamente alludeva il trailer. Mi sono trovato davanti a un film che non gioca sullo spavento facile, ma sull’inquietudine che nasce quando la solarità presunta di una comunità si trasforma in maschera imposta, in gabbia. Non è facile potersi addentrare troppo nella trama, pena il rovinare la sorpresa.
Il villaggio del film non è solo un luogo geografico: è una comunità segnata da una ferita originaria, l’incidente ferroviario che anni prima aveva colpito duramente il paese. Quella tragedia aleggia come un fantasma collettivo, anche quando non viene nominata, a mo’ di trauma rimosso. Per reagire, gli abitanti hanno creato una sorta di rituale che porti a una serenità di facciata che funziona come anestetico e come strumento di controllo sociale.
Qui si vede la mano del regista Strippoli, che sa usare la grammatica del cinema horror non per mostrare mostri o sangue, ma per viaggiare su binari più profondi. È inevitabile, guardando La Valle dei Sorrisi, pensare a Mark Fisher e alla sua distinzione tra “weird” ed “eerie”, con il weird che emerge nei dettagli inquietanti che incrinano la normalità – il canto collettivo, il rituale stesso – mentre l’eerie si palesa in elementi disturbanti e fuori posto.
Sul piano estetico, l’opera è straordinaria: la fotografia delle Alpi, con la luce che scolpisce i volti e gli spazi, le ombre che permeano la natura trasformandola in una presenza arcana, quasi oppressiva. E Michele Riondino funziona perfettamente come outsider: un uomo che ha perso tutto e che, proprio per questo, non può accettare l’oblio come cura. È il personaggio che mette a nudo la contraddizione del villaggio.
Il finale osa molto. Ma, in un panorama spesso troppo pavido, preferisco un film che rischia, che spinge oltre i confini, piuttosto che un’opera levigata e innocua. È un horror che non vuole rassicurare, ma disorientare. E questo, oggi, è già un merito raro.
Il film piacerà a:
A chi ama gli horror che non gridano, ma insinuano, a chi apprezza le atmosfere sospese.
A chi ama gli horror che non gridano, ma insinuano, a chi apprezza le atmosfere sospese.
Il film non piacerà a:
A chi cerca horror splatter con “scare-jump” ogni tre secondi.
Pregi:
Un’idea disturbante resa con eleganza e coerenza, una fotografia alpina magistrale, che diventa linguaggio simbolico. Ottima prova attoriale di Riondino.
Un’idea disturbante resa con eleganza e coerenza, una fotografia alpina magistrale, che diventa linguaggio simbolico. Ottima prova attoriale di Riondino.
Difetti:
Attori secondari un po’ meno credibili. Il finale forse spiega troppo, avrei lasciato meno chiarezza e più mistero.
Lo consiglio?
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