Le Bureau - Sotto copertura (2015-2020) - Recensione a cura di Umberto Visani

 

le bureau


Genere: drammatico, spionaggio
Paese di produzione: Francia
Stagioni ed episodi: 5 stagioni, 50 episodi
Casa di produzione: Federation Entertainment, The Oligarchs Productions
Ideatore: Éric Rochant
Produttori: Éric Rochant, Alex Berger, Éric Zaouali
Cast principale: Mathieu Kassovitz (Guillaume Debailly "Malotru"), Sara Giraudeau (Marina Loiseau), Jean-Pierre Darroussin (Henri Duflot), Léa Drucker (Laurène Balmes), Florence Loiret-Caille (Marie-Jeanne Duthilleul), Mathieu Amalric (Jean-Jacques "JJA"), Zineb Triki (Nadia El Mansour), Gilles Cohen (Marc Lauré "Mag"), Jonathan Zaccaï (Raymond Sisteron), Pauline Étienne (Céline Delorme), Michaël Abiteboul (Mémé), Alexandre Brasseur (Pépé), Alba Gaïa Bellugi (Prune Debailly).

Trama:

Guillaume Debailly, nome in codice Malotru (Mathieu Kassovitz), è un agente della DGSE, i servizi segreti francesi, e appartiene a una divisione chiamata “Bureau des Légendes”, che si occupa di creare e gestire identità false per spie infiltrate all’estero. Per sei anni ha vissuto sotto copertura in Siria, fingendosi un professore universitario francese a Damasco con il nome fittizio di Paul Lefebvre. Al suo rientro a Parigi, però, Debailly fatica a separarsi da quella falsa identità e la mantiene attiva in segreto, soprattutto per riallacciare i rapporti con la sua ex amante siriana, Nadia, ora trasferitasi in Francia. Intorno a lui si muove una fitta rete di operazioni clandestine: agenti sotto copertura vengono mandati in Iran e nel mondo arabo; la DGSE sorveglia giovani francesi radicalizzati e coinvolti nel jihadismo; le relazioni con le agenzie di intelligence americane, russe e israeliane sono ambigue e cariche di diffidenza. In questo universo grigio, dove nessuno è mai completamente onesto e ogni scelta può avere conseguenze mortali, si fondono menzogne personali e inganni geopolitici.

Cosa ne penso: 

Non è facile fare una serie televisiva su un tema abusato e, al tempo stesso, alquanto sconosciuto come lo spionaggio. Il rischio più incombente è quello di mettere insieme una lunga serie di luoghi comuni, che sembrano tutti credibili ma solo nella misura in cui fanno parte dell'immagine costruita dalla cultura dominante sull'attività dei servizi segreti.
Come avido divoratore di serie televisive, mi capitò per caso di vedere una puntata della prima serie di Le Bureau des Légendes, di Éric Rochant, dedicata a una specifica divisione della DGSE (Direction Générale de la Sécurité Extérieure), il servizio di spionaggio francese dipendente dal Ministero della Difesa e specializzato nell'acquisizione di informazioni "sensibili" all'estero.
Nel vedere una puntata, mi colpì subito la profondità dell'approccio, la sapiente mescolanza tra situazioni assolutamente credibili dal punto di vista professionale e altre molto più "cinematografiche", l'ottima scelta dei protagonisti (non solo il celebre Mathieu Kassovitz, regista di un film di culto come La Haine), dei deuteragonisti e perfino dei personaggi minori, tutti molto bravi a livello di credibilità e recitazione.
Così, ho visto in sequenza tutte le stagioni dell'intera serie, e il mio giudizio assolutamente positivo ne è uscito ulteriormente confermato. Se un cambiamento c'è stato nel percorso, esso consiste nel fatto che la terza serie pare il frutto di una più stretta collaborazione dei creatori con il Ministero della Difesa e la stessa DGSE, quasi a fare di Le Bureau una sorta di proiezione metapolitica del Ministero stesso, nella medesima logica con cui il Pentagono aiuta massicciamente Hollywood per promuovere una certa visione della politica militare e delle Forze Armate degli Stati Uniti.
Se questa è la cornice - e si tratta di una cornice costruita in maniera decisamente convincente - ancora più convincente è il quadro che essa racchiude, dominato da due elementi preponderanti: la menzogna e la manipolazione. Ciascuno dei protagonisti e dei comprimari ne fa uso a piene mani, non solo per deformazione professionale, ma perché l'intera vicenda è inserita in un contesto che, se ha un pregio rispetto a tante serie analoghe, è di non essere assolutamente manicheo. Non ci sono "buoni", ne “Le Bureau”: né gli americani (ai quali è riservata una buona dose di diffidenza nazionalista gallica), né gli stessi francesi - la cui politica verso il regime siriano di Bashar Assad, verso quello turco di Erdogan o verso gli indipendentisti curdi è a geometria variabile e retta da un cinismo raggelante, ma tipico della politica internazionale di qualsiasi Paese intenda stare da protagonista (o quasi) nello scacchiere planetario - e neppure gli israeliani, presentati in forma assolutamente realistica, cioè giustamente cinici e spietati come tutti gli altri. Quanto ai "cattivi", quel ruolo tocca davvero solo all'ISIS, perché il regime siriano di Assad, se certo non viene presentato come "buono", potrebbe essere pur sempre suscettibile di cambiamenti da parte della politica di Parigi e dunque mutare natura...
Non sono sicuro che lo spettatore medio, scarsamente a conoscenza della politica internazionale, delle sue sottigliezze e delle varie sigle che la connotano, sia in grado di comprendere appieno la ricchezza anche politica di questa serie, perduto da decenni in uno scenario autocostruito dove ci sono i "buoni" che combattono per la pace e la convivenza tra i popoli, e i "cattivi" che li insidiano con le loro nefandezze.
Nessuna di queste noiose geremiadi ne Le Bureau, ma le mille tortuose imprecisioni della vita vera, i cambi di politica e di orientamento, i piccoli e grandi tradimenti. Nessuno è perfetto, tutti sono terribilmente imperfetti. Nessuno si batte per la patria, valore che sembra totalmente espunto dall'insieme, ma semplicemente per un generico "noi" che si contrappone a un non meno generico "loro" e in cui chi sta da una parte non è affatto sicuro che tutti i suoi nemici gli stiano di fronte, ma spesso sospetta, non a torto, che stiano anche alle sue spalle.
Su questo sfondo tragico, l'amore è forse una risposta o, più probabilmente, l'unica via di fuga rimasta al singolo per non rimanere definitivamente schiacciato dalla macchina del potere e dello Stato, che - proprio come nel gioco degli scacchi - lo considera al massimo un pedone e per di più facilmente sacrificabile. L'individuo non conta niente, nel "migliore dei mondi possibile", un mondo dal quale - anche se si combatte ufficialmente per esso - l'unica cosa che importa davvero è fuggire, fuggire il più lontano possibile, immergendosi deliberatamente in quella densa nebbia che, in forma del tutto simbolica, avvolge dentro di sé - nella scena finale della terza serie - il protagonista Debailly/Kassovitz, deciso a ritrovare una vita e un amore sottraendosi alle spire di una "ragion di Stato" ormai neppure più definibile come tale, tanto risulta privatizzata.

La serie piacerà a:
A chi ama le storie di spionaggio complesse e non hollywoodiane, con protagonisti moralmente ambigui e una forte attenzione ai meccanismi della politica internazionale. A chi apprezza lo stile sobrio, cerebrale, mai gridato.

La serie non piacerà a:
A chi cerca l’action pura, l’inseguimento, l’agente alla Jason Bourne. A chi ha bisogno del buono e del cattivo chiaro e netto.

Punti forti della serie:
Una scrittura solida e raffinata. Una direzione attoriale sopra la media. Una rappresentazione della geopolitica raramente così sofisticata, per non dire mai vista in una serie tv.

Punti deboli della serie:
Richiede attenzione e pazienza. I ritmi non sono frenetici, e l’intreccio può scoraggiare lo spettatore distratto. Non è una serie da guardare con il cellulare in mano. 

Lo consiglio? 





 (Recensione a cura di Umberto Visani)



 
 





Commenti

  1. Apprezzo in toto quanto descritto, 50 puntate coinvolgenti e da seguire con attenzione

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