ENEMY (2013) RETROSPETTIVA FILM – Prima di Dune

Locandina del film Enemy 2013

  

Retrospettiva a cura di: Umberto Visani

Genere: thriller, drammatico, grottesco
Paese di produzione: Canada, Spagna
Durata: 90 minuti
Regia: Denis Villeneuve
Produttori: Niv Fichman, Miguel A. Faura
Casa di produzione: Rhombus Media, Roxbury Pictures, micro_scope, Mecanismo Films
Sceneggiatura: Javier Gullón
Cast: Jake Gyllenhaal (Adam Bell / Anthony Claire), Mélanie Laurent (Mary), Sarah Gadon (Helen Claire), Isabella Rossellini (madre di Adam)


Trama:

Adam Bell (Jake Gyllenhaal) è un professore di storia che vive una vita grigia e ripetitiva. Un giorno, guardando un film a noleggio, si accorge che uno degli attori è letteralmente identico a lui. Si chiama Anthony Claire ed è un attore di secondo piano che vive nella stessa città, Toronto. Incuriosito, Adam inizia a cercarlo, lo osserva da lontano, finché il desiderio di un confronto lo porta a contattarlo. Le conseguenze sono immediate e inquietanti. Le due esistenze iniziano a intrecciarsi e a confondersi, in un gioco di specchi dove la distinzione tra sé e l’altro si fa sempre più sottile. 



Cosa ne penso (no spoiler):

Avevo visto Enemy anni fa, attratto da una trama che mi era subito risultata gradita. All’epoca Villeneuve non era famoso come adesso ma Enemy rappresenta forse il suo miglior film a oggi. Un’opera che lavora sulla tensione, sull’ambiguità, sull’erosione progressiva della realtà. Villeneuve non cerca il colpo di scena, ma il cortocircuito percettivo. Lo spettatore non è guidato, ma viene abbandonato in un territorio incerto, dove ogni immagine può avere più significati.
Il film rinuncia a ogni forma di rassicurazione narrativa. Non ci sono spiegazioni, non c'è backstory chiarificatrice, non ci sono flashback né voice-over. La struttura è volutamente ellittica, costruita per insinuare dubbi, non per risolverli.
Il paragone con David Lynch è inevitabile e qui, più che in altri casi, legittimo: Enemy condivide con Mulholland Drive e Lost Highway l’idea che il cinema sia uno spazio dell’inconscio, non della logica. Ma Villeneuve non è un epigono: ha una cifra sua, maggiormente sobria e contenuta.
Jake Gyllenhaal offre una delle sue migliori interpretazioni: duplice, cesellata nei dettagli, profondamente inquieta. In un film dove tutto è sospeso e sfuggente, lui è il centro instabile attorno cui ruota ogni cosa.
Enemy è un film-simbolo. La Toronto dove si muovono i personaggi non è realistica: è opaca, inquietante nella sua freddezza di cemento. È l’allegoria dell’alienazione urbana. La ripetizione ossessiva di immagini (cavi elettrici, grattacieli, corridoi) evoca un mondo dove ogni cosa si rispecchia.
La simbologia più evidente è quella del doppio: due uomini identici ma non intercambiabili, che si desiderano e si temono. 
E poi ci sono i ragni. Presenze oniriche, inquietanti, mai spiegate. Simboli potenti: del controllo e della trappola. 
Enemy è tratto liberamente dal romanzo L’uomo duplicato di José Saramago, ma Villeneuve non fa un adattamento tradizionale. Prende il nucleo e lo spoglia di ogni orpello. Laddove Saramago lavora con la parola e con l’ironia, Villeneuve lavora con l’immagine e il silenzio. Il risultato è un’opera che resta nella mente come un sogno/incubo, un film che inquieta anche dopo anni. Non offre risposte, ma lascia domande. 

Il film piacerà a:
A chi ha amato Mulholland Drive e Lost Highway di David Lynch e a chi vuole un film che interroghi lo spettatore.
 
Il film non piacerà a:
A chi ha bisogno di risposte, spiegazioni e coerenza narrativa lineare. A chi preferisce un cinema tradizionale, con personaggi ben definiti e sviluppo classico.
 
Pregi:
Regia asciutta e precisissima, capace di creare tensione senza effetti speciali. Interpretazione strepitosa di Gyllenhaal. Finale tra i più destabilizzanti del cinema contemporaneo.
 
Difetti:

Rischio di apparire “pretenzioso” agli occhi di uno spettatore poco avvezzo a certi linguaggi.
 
Lo consiglio? 





 Retrospettiva a cura di: Umberto Visani



 
 



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