True Detective - Stagione 2 (2015) - Recensione a cura di Umberto Visani
Genere: Drammatico, Crime, Antologico
Paese di produzione: Stati Uniti
Distribuzione in Italia: Sky Atlantic, dal 29 giugno al 17 agosto 2015
Episodi e durata: 8 episodi, ciascuno della durata di circa 60 minuti
Casa di produzione: HBO
Ideatore: Nic Pizzolatto
Produttori: Nic Pizzolatto, Scott Stephens, Richard Brown, Steve Golin
Cast principale: Colin Farrell (Ray Velcoro), Rachel McAdams (Ani Bezzerides), Taylor Kitsch (Paul Woodrugh), Vince Vaughn (Frank Semyon), Kelly Reilly (Jordan Semyon)
Trama:
Vinci, California, una città industriale corrotta fino al midollo, è il palcoscenico di un crimine: un funzionario pubblico viene trovato morto con mutilazioni rituali. L'indagine fa incrociare i destini di Ray Velcoro (Colin Farrell), poliziotto sull'orlo del collasso psichico e morale; Ani Bezzerides (Rachel McAdams), detective della contea dal passato poco chiaro; Paul Woodrugh (Taylor Kitsch), ex soldato. Attorno a loro si muove Frank Semyon (Vince Vaughn), gangster che tenta un’improbabile redenzione nel mondo degli affari “puliti”. Ma nulla è pulito. Né loro, né il mondo che li circonda.
Mi sono avvicinato, anni fa, alla seconda stagione di True Detective con sentimenti contrastanti. Da un lato, aspettative altissime derivanti da una prima stagione sontuosa, dall’altro una punta di diffidenza motivata da molteplici pareri negativi, cui in realtà attribuivo il valore del tipico commento da bar che in genere si abbatte sui sequel, i quali, secondo la vulgata qualunquistica, sarebbero sempre e comunque peggio del primo film o della prima stagione. Anche in questo caso, il giudizio dei più si è rivelato ai miei occhi totalmente fallace.
Dopo la prima stagione, Nic Pizzolatto cambia tono, luoghi e protagonisti, senza scendere di livello ma, semplicemente, “scavando” altrove.
True Detective 2 non vuole piacere né intrattenere, vuole scuotere e accusare. Un’opera spietata sul fallimento come condizione permanente. I personaggi non cercano la verità ma un senso per sopportare il vuoto.
Pizzolatto costruisce non una storia, ma un pretesto narrativo per far esplodere il senso di inutilità, fatica e disperazione, con protagonisti che provano a non crollare, che fingono di vivere mentre annegano.
La scrittura rinuncia a ogni illusione consolatoria, mettendo in mostra una civiltà terminale, che ha scambiato il cemento per la salvezza, il potere per la giustizia, il profitto per il senso. In questo contesto, ogni personaggio è una monade chiusa, un abisso che non può mai comunicare davvero con l’altro. Come treni su binari paralleli, i protagonisti si sfiorano, ma non si incontrano. Ognuno, nel suo personale inferno. Velcoro è un uomo finito, lo sa, ma continua ad andare avanti, non per eroismo, ma per inerzia. La Bezzerides combatte un trauma mai cicatrizzato. Woodrugh è devastato dal proprio rifiuto identitario. E Semyon, gangster con la vocazione da poeta tragico, cerca nella legalità una redenzione che non troverà. Sono personaggi dostoevskijani, gravati da un senso di colpa e consapevolezza allo stesso tempo, bloccati in un’esistenza che chiede soltanto di resistere al dolore quotidiano.
Questo non è il migliore dei mondi possibili, è solo quello che ci resta. Ogni episodio si chiude come una condanna. Il tempo che passa non guarisce. Eppure la serie non indulge nel nichilismo gratuito. Al contrario: è come se dicesse che il vero nichilismo è accettare tutto questo come normalità. È qui che True Detective 2 si fa davvero potente: non ti libera, ma ti spiega. Non vuole salvarci, vuole smascherare la menzogna della società occidentale benevola. E lo fa con una lucidità spaventosa. Per chi aveva promesso libertà e giustizia, un grande traguardo... Chapeau, but "never mind...!".
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