The Americans - SerieTv (2013) - Recensione a cura di Umberto Visani
Genere: Drammatico, thriller, spionaggio
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Distribuzione in Italia: Prima TV su Fox dal 4 novembre 2013 al 23 luglio 2018
Episodi e durata: 75 episodi, ciascuno di circa 45 minuti
Casa di Produzione: Amblin Television, Fox 21 Television Studios, FX Productions
Produttori: FX Productions
Ideatore: Joe Weisberg
Cast principale: Keri Russell (Elizabeth Jennings), Matthew Rhys (Philip Jennings), Noah Emmerich (Stan Beeman), Annet Mahendru (Nina Sergeevna Krilova), Susan Misner (Sandra Beeman), Alison Wright (Martha Hanson), Holly Taylor (Paige Jennings), Keidrich Sellati (Henry Jennings), Maximiliano Hernández (Chris Amador), Richard Thomas (Frank Gaad), Lev Gorn (Arkady Ivanovich Zotov), Costa Ronin (Oleg Igorevich Burov), Dylan Baker (William), Margo Martindale (Claudia)
Trama:
1981, Philip (Matthew Rhys) ed Elizabeth Jennings (Keri Russell) vivono con i figli in una villetta tranquilla nei sobborghi di Washington. Apparentemente sono una famiglia americana come tante. In realtà, sono agenti dormienti del KGB, infiltrati sul suolo statunitense fin da giovani, incaricati di raccogliere informazioni e compiere missioni per conto dell’Unione Sovietica. La loro vita si snoda in un continuo oscillare tra affetti autentici e menzogne, mentre il vicino di casa, ignaro, è un agente dell’FBI specializzato proprio nella caccia alle spie russe.
The Americans è una serie che da subito mi ha colpito per la sua aderenza a un concetto ormai quasi anacronistico di “realismo drammatico”: scritta da un ex-membro della CIA, descrive molto bene il funzionamento di certi meccanismi, lasciando spazio all'ordinarietà dei medesimi, che sono quanto di più lontano ci possa essere dai film di James Bond e sono invece molto più prossimi all'attività spionistica realmente tale. Questo aspetto di messa in scena di “ordinary people” è forse il lato più interessante della serie, perché evidenzia i notevoli problemi che solleva a livello psicologico e comportamentale nei due protagonisti, che non sono soltanto spie ma esseri umani privati della possibilità di essere sinceri, anche tra di loro. Cosa resta di te, quando ogni relazione che coltivi è uno strumento operativo?
La caratteristica più affascinante della serie è forse questa: il suo scegliere l'ordinarietà come terreno di scontro. La spia è un soggetto che si divide, che finge tutto, sempre, e che però si trova a cucinare la cena, a guardare i figli addormentarsi, a confrontarsi con le emozioni reali che nascono da legami che non dovrebbero esistere. È una guerra fredda anche e soprattutto dell’identità. Elizabeth è più ideologica, più devota, ma anche più chiusa a potenziali cedimenti. Philip invece è più “contaminato”, più occidentale, più tentato dalla possibilità di essere qualcos’altro. Entrambi, in modo diverso, sono “spostati”: non “expat”, ma “psychologically displaced”: uomini e donne che si muovono tra mondi, senza mai appartenere veramente a nessuno.
In tutto ciò, The Americans è una grande riflessione sull’ambiguità morale, sull’educazione (cosa puoi trasmettere ai figli, se la tua stessa vita è una menzogna?), e sull’amore come ultima forma di resistenza. In un’epoca di fiction urlate, la serie lavora di sottrazione. Non vuole essere “accattivante”, non ti prende per mano, ti chiede solo di restare a guardare. E lentamente, inesorabilmente, ti trascina dentro.
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