28 anni dopo (2025) - Recensione a cura di Umberto Visani
Genere: horror, azione, drammatico, fantascienza
Paese di produzione: Regno Unito, Stati Uniti d'America
Durata: 115 minuti
Produzione: Columbia Pictures, British Film Institute, DNA Films, Decibel Films, TSG Entertainment, Sony Pictures Releasing
Produttori: Danny Boyle, Alex Garland, Andrew Macdonald, Peter Rice, Bernie Bellew
Regia: Danny Boyle
Sceneggiatura: Alex Garland
Cast principale: Alfie Williams (Spike), Jodie Comer (Isla), Aaron Taylor-Johnson (Jamie), Ralph Fiennes (Dr. Ian Kelson), Edvin Ryding (Erik Sundqvist), Christopher Fulford (Sam), Stella Gonet (Jenny), Jack O’Connell (sir Jimmy Crystal), Erin Kellyman (Jimmy Ink).
Trama:
Ventotto anni dopo l’inizio dell’epidemia, una comunità di sopravvissuti si rifugia sull’isola di Lindisfarne, protetta da un ponte accessibile solo con la bassa marea. Qui vivono Jamie (Aaron Taylor‑Johnson), la moglie Isla (Jodie Comer) malata, e il loro figlio dodicenne Spike (Alfie Williams). Quando Isla rischia di morire per una malattia misteriosa, Spike e Jamie attraversano la lingua di terra verso il continente – infestato da infetti mutati – per cercare il Dr. Kelson (Ralph Fiennes), sperando in una cura per il virus. Ma il vero virus è la sceneggiatura.
Cosa ne penso (pochi spoiler):
Sono andato a vedere 28 anni dopo con aspettative molto alte, derivanti dall’aver adorato sia 28 giorni dopo sia Trainspotting, entrambi di Danny Boyle. Ciò che ho visto, invece, è uno dei film più brutti degli ultimi 20 anni.
La trama? Inesistente. O, meglio, una sequela di suggestioni confuse, collegate da un montaggio frenetico che cerca di mascherare la vacuità con la velocità. L’orrore, spesso malamente “gore”, si dissolve nella noia. La tensione è rimpiazzata da scene che sembrano girate con iPhone montati su droni, il che sarebbe anche accettabile se non sembrasse di essere dentro un promo pubblicitario per una compagnia telefonica.
E, poi, l’aspetto peggiore: il cercare di alzare la posta morale, introducendo il tema dell’eutanasia, senza alcun senso e in stile “sermone”, decisamente odioso. Un monologo improvviso, pretestuoso, moralista, messo lì a caso, come a dire: “Guardate come siamo profondi.” No, siete solo fuori contesto.
Dopo capolavori come Trainspotting e 28 giorni dopo, questa operazione appare come un goffo tentativo di cavalcare un immaginario che non controllano più.
Mi chiedo come si sia potuti passare dalla violenza sobria e disperata del primo film alla patetica scena iniziale in chiesa, al parto zombie, al finale freak fintamente tarantiniamo che è talmente brutto da rasentare la parodia involontaria. Garland, lo sceneggiatore, che aveva stupito con Ex Machina e Annihilation, qui scrive con la foga di chi vuole dire tutto ma finisce per non dire niente. Ogni scena sembra voler evocare qualcosa – la società post-pandemica, la Brexit, il controllo biologico – ma finisce sempre nel ridicolo o, peggio, nel noioso.
Il vero orrore, in fondo, è quello del cinema stesso che non ha più niente da dire, ma pretende di parlarci della vita e della morte, di Dio e del DNA, senza nemmeno sapere da dove cominciare.
Il film piacerà a:
non saprei, davvero difficile possa piacere a chicchessia.
non saprei, davvero difficile possa piacere a chicchessia.
Il film non piacerà a:
A chi ama l’horror e ha adorato 28 giorni dopo.
Pregi:
Il paesaggio scozzese. Dopo meno di due ore, finisce.
Il paesaggio scozzese. Dopo meno di due ore, finisce.
Difetti:
Trama impresentabile, nessun personaggio memorabile, dialoghi vuoti. Sono previsti due sequel.
Lo consiglio?
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